LA LUNGA MARCIA
di Stephen King
TRAMA
Dai confini con il Canada, scendendo giù fino
a Boston, a piedi, senza soste. Una sfida mortale per cento volontari. Un
regolamento implacabile non ammette passi falsi: una caduta, un malore e si
viene congedati (leggi: fucilati) all'istante. Eliminati dalla gara come dalla
vita da un'organizzazione governativa militare che vigila inesorabilmente su
ogni movimento. Chi riesce a sopravvivere a questa maratona maledetta, che
massacra la mente molto più del corpo, otterrà il Premio…
LA MIA
RECENSIONE
Romanzo molto particolare: quando si dice
“svelare la trama poco per volta”.
Non ci viene presentato un luogo o una
situazione particolare come avviene di solito, ma il romanzo parte subito con
il dialogo in auto di madre e figlio. Si intuisce che il ragazzo deve
partecipare a una gara, una sorta di reality show, ma che è qualcosa di
veramente duro. Non ci viene svelato nulla di più. Andando avanti, conosciamo gli altri
concorrenti, uno alla volta. Alcuni addirittura vengono presentati a romanzo
già inoltrato. E anche i particolari di questa marcia vengono svelati durante
il percorso. Tanto che, dopo numerose pagine, quando scopriamo le regole del
gioco, rimaniamo pietrificati.
Il finale mi ha lasciato un po’ l’amaro in
bocca. Avrei voluto sapere di più: cosa ha fatto il vincitore, poi; come stava?
Come si è comportato con i suoi familiari?
Un romanzo tutto incentrato sulla corsa:
inizia con il via e finisce con il taglio del traguardo. Ma nel mezzo scopriamo
il carattere di gran parte dei concorrenti, i loro punti deboli, le loro paure,
gli atteggiamenti da sbruffone di alcuni. E, soprattutto, vediamo il pubblico.
Quel pubblico che, come oggi aspetta la lite durante i reality, sta lì a
guardare e applaudire mentre dei ragazzi corrono per la vita. Da brividi. Ne
emerge tutto il disagio della nostra società, nonostante il libro risalga a
parecchi anni fa.
Sarebbe perfetto, se non fosse per il fatto
che non ho compreso bene il motivo per cui un ragazzo debba decidere di
iscriversi a una gara del genere. Ad esempio, anche in “Hunger games” il gioco
veniva organizzato per spettacolo, ma i concorrenti venivano estratti a sorte
ed erano obbligati a partecipare. Loro ne avrebbero volentieri fatto a meno.
Qua invece l’iscrizione è volontaria e, addirittura, si devono superare alcuni
test per essere ammessi. L’autore tenta
di spiegare cosa li ha spinti, dicendo magari che si trovavano in situazioni
particolari e che poi se ne sono pentiti. Ma, dopo che ti sei iscritto, ci sono
i test, l’estrazione tra chi li ha superati e un tempo a disposizione per
ritirarti se cambi idea. Non riesco a pensare a qualcuno che arrivi fino alla
fine deciso a partecipare. Invece loro ne trovano 100 ogni volta. Davvero poco
credibile.
“Talvolta qualcosa ti dice Fallo oppure Non
Farlo. Io ubbidisco quasi sempre a quella voce e quando disubbidisco di solito
me ne devo pentire” (dall’introduzione di SK).
“Restava intatta l’incrollabile convinzione
che Ray Garraty non poteva morire. Gli altri sì, perché erano comparse nel film
della sua vita, ma non Ray Garraty, stella del kolossal” Penso che chiunque, se
si ferma a riflettere, può riconoscersi in questa frase. È la descrizione
perfetta di come ognuno vede la propria vita.
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